La memoria è una delle facoltà più richieste e meno allenate della scuola: chiediamo di mandare a memoria, ma non affrontiamo mai come si possa coltivare e migliorare la propria memoria.
Eppure, fin dalla classicità, maestri e retori, filosofi e sacerdoti si sono dedicati all’arte della memoria. La memoria, come molte delle attività mentali, non è innata, ma cresce con l’esercizio, può essere accompagnata e facilitata.
Le strade sono tante: una delle più sorprendenti è che la nostra organizzazione della memoria è in buona parte spaziale. Ricordiamo cioè meglio qualcosa se la immaginiamo come diffusa in uno spazio che in altri modi.
Cicerone parla di un “palazzo della memoria”, nelle cui stanze possiamo arredare i vari pezzi di ciò che dobbiamo o vogliamo ricordare: così suddivideremo il nostro discorso, o ciò che vogliamo dire, come un insieme di luoghi collegati.
In ogni stanza si troverà una parte, rappresentata con qualcosa di memorabile: scene fortemente emotive, visive, ricche di particolari significativi.
Mark Twain, lo scrittore, aveva adattato questa struttura al proprio giardino di casa: per fare imparare ai suoi figli i nomi dei sovrani inglesi, li aveva collegati agli alberi esistenti, e vi aveva aggiunto qualcosa di memorabile.
Lo stesso possiamo farlo a scuola: se vogliamo che qualcosa venga memorizzato, possiamo trasformarlo in “stanze” o “caselle” – possono essere le tappe che vanno dal cancello all’ingresso in classe, o i gradini di una scala. Ogni volta che ripercorriamo quel percorso, troviamo indizi per ricordare, e la memoria è resa più facile da un percorso che è già iperappreso, noto e risaputo.
Così possiamo disporre, come tappe di una Via Crucis, scene dalle tabelline o dalle coniugazioni.
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