Sonia Coluccelli, insegnante e formatrice,  riflette sui 10 punti della lettera scritta da Galli Della Loggia al neoministro all’Istruzione Bussetti. Punto tre: celebrazioni, occupazioni e autogestioni

Nella lettera rivolta al neo ministro all’istruzione Bussetti, pubblicata il 4 giugno nel Corriere della Sera, Galli della Loggia dopo il ripristino della pedana / predella e del “tutti in piedi” passa al terzo punto: Divieto deciso nei confronti di tutte le «occupazioni» più o meno simboliche e delle relative autogestioni che ormai si celebrano da decenni come un tempo la «festa degli alberi». Per la semplicissima ragione che esse non servono a nulla se non, assai banalmente, a non studiare. Bisogna cominciare a dire le cose come stanno.

divieto autogestioneIl decalogo dei cambiamenti indispensabili posti all’attenzione del ministro appena insediato passa qui dall’obbligo al divieto, in un linguaggio che molto esprime della visione non solo educativa ma anche culturale che sta dietro queste proposte. Divieto deciso, per di più. E vien da chiedersi come si declinerebbe secondo l’autore del testo tanta perentorietà. Ma essendo queste pillole di saggezza, quelle che propone, non è data l’occasione per saperne di più.

Parliamo dunque di vietare d’autorità occupazioni (simboliche?) ed autogestioni, evento per ovvi motivi piuttosto inconsueto nella scuola primaria di cui maggiormente mi occupo. Purtroppo inconsueto. Penso infatti che proprio quei momenti che rischiano di essere banalizzati come occasione per un’esecrabile nullafacenza siano, e qui forse possiamo trovare un accordo su almeno un termine, importanti riti di passaggio da celebrare verso la conquista di ciò che invece dovrebbe essere un diritto, ossia la pratica di una cittadinanza non subalterna all’interno dello spazio di vita abitato quotidianamente, la scuola.

Un’occupazione o un’autogestione richiedono progettazione ed organizzazione, la definizione di ruoli tra i ragazzi che ne assumono la regia, la ricerca di temi, incontri, attività

Un’occupazione o un’autogestione richiedono progettazione ed organizzazione, la definizione di ruoli tra i ragazzi che ne assumono la regia, la ricerca di temi, incontri, attività. Occorre pensare in modo intenzionale ed assumersi diverse responsabilità perché quel momento funzioni e funzioni bene. Sono stata invitata a parlare durante qualche momento di autogestione in alcune scuole secondarie e sono rimasta impressionata dalla autogestionediversa postura fisica ed espressione del volto, dalla dinamicità che i ragazzi avevano, tutti, nella partecipazione a quell’incontro scelto tra molti in agenda, progettato perché coerente con il tema trasversale condiviso per quell’anno…

Quanta differenza rispetto ai miei incontri nelle scuole voluti “da programma” dai docenti, incontri durante i quali mi trovo di fronte ragazzi che paiono narcotizzati, che si trascinano faticosamente lungo i corridoi, che mi guardano come fossi trasparente o con parecchia diffidenza, magari per poi sciogliersi quando la conversazione e lo scambio accadono comunque, anche nelle lezioni volute dai prof.

Pensa da solo, pensa con la tua testa

Le autogestioni portano in mano ai ragazzi quel prefisso del far da sé (auto) che è poi quello che chiediamo loro quando li sollecitiamo ad una maggiore auto-nomia (il sapersi dare una norma da se stessi) ed auto-regolazione di pensiero e di azione, quando chiediamo loro di sapersi svincolare dal leader negativo del gruppo, di esercitare una capacità di scelta, di non farsi condizionare troppo facilmente. Pensa da solo, pensa con la tua testa. E quando lo imparano se tutto e sempre è obbedienza e gerarchia? Se abitare per qualche giorno da padroni di casa il luogo dell’apprendimento viene classificata come un’azione da fannulloni?

scuola come occasione per acquisire competenze per la vita reale

Sarebbe quindi interessante che tra le novità che potrebbe introdurre il Ministro ci fosse un provvedimento per mettere a sistema la capacità di autogestione degli spazi e dei tempi scolastici dei bambini e dei ragazzi, perché la scuola dia davvero, come ben espresso nelle Indicazioni Nazionali, l’occasione per acquisire competenze per la vita reale e attraverso la vita reale e non solo conoscenze a scadenza per l’ennesima verifica o interrogazione.

Infatti, per tornare alle affermazioni su cui si sta ragionando: la scuola è solo il luogo dello studio sui libri adottati dagli insegnanti e solo quello è il canale di apprendimento a cui attenersi, ogni giorno dei 200 che il calendario scolastico prevede? Non servono a nulla (le autogestioni ) se non, assai banalmente, a non studiare. Studiare o imparare? La domanda mi pare meriti un attimo in più di riflessione rispetto alla chiusura sbrigativa con cui ci liquida l’opinionista.

Jordan Matter autogestione
Foto Jordan Matter

Maria Montessori, che di certo dello studio aveva un’idea parecchio diversa rispetto a quella espressa sulle pagine del Corriere, racconta che durante una visita di alcuni benefattori ad una delle sue scuole, note per essere fondate sul principio dell’autoregolazione da parte dei bambini nella scelta dei materiali con i quali lavorare e delle attività a cui dedicarsi, ci fu questo scambio di battute tra uno degli adulti in visita ed uno dei bambini. Il primo chiese al piccolo: “dunque questa è la scuola dove fate tutto quello che volete?” “ No signore”, rispose il piccolo, “non facciamo quello che vogliamo, vogliamo quello che facciamo.”

non facciamo quello che vogliamo, vogliamo quello che facciamo

Vogliamo quello che facciamo. Mi pare ci sia da aggiungere poco. Anzi no, cominciamo a dire le cose come stanno: è così che si impara e si impara davvero, per la scuola e per la vita.

Tutti gli articoli pubblicati di Sonia Coluccelli sui dieci punti della lettera di Galli della Loggia:
1 – a partir dalla pedana per parlar di democrazia
2 –
tutti in piedi l’illusoria idea di obbligare al rispetto
3 –
autogestioni: pretesti per non studiare o momenti formativi?
4 –
fuori le famiglie dalla scuola? L’equivoco del genitore cliente
5 –
riunioni e consigli, tra burocrazia e confronti necessari
6-
Il mito delle scuole giapponesi, tra pulizie e responsabilità
7-
Una scuola senza smarthone, falso vituosismo
8-
Letture di ordinanza o diritti del lettore (e del docente)?
9-
E se non parlassimo di gita, ma di viaggio?
10-
Il nome della scuola: semplice lustro o scelta consapevole?