È difficile immaginare una scuola diversa da quella di adesso? Renato Palma ci prova con il suo racconto dell’eterna diatriba fra i Sissipole e gli Unsipole

Che ingenui questi Sissipole, mannaggia. Ci cascavano tutte le volte.

Gli Unsipole avevano dato ampia prova di sapere come fare a rendere la vita un’esperienza noiosa, ripetitiva, litigiosa: “nessun cambiamento e già sono contento” era il loro motto.

La scuola era stata pensata come un luogo dove stare bene a imparare e dove tutti sarebbero stati trattati allo stesso modo, cioè con gentilezza: figli di poveri e di ricchi, quelli più dotati di intelligenza e quelli più dotati di affetto. Tutti insieme. Alla pari.

Ma dove si sarebbe andati a finire se si fosse realizzato questo semplice progetto? Era impossibile per gli Unsipole immaginare una società senza potere: le donne uguali agli uomini? I bambini con gli stessi diritti degli adulti? Via non scherziamo: i Sissipole erano veramente socialmente pericolosi.

Parlavano dell’affetto come di una forma di intelligenza molto raffinata, e pensavano di ingannare gli Unsipole. Che invece avevano capito benissimo che una scuola pensata così rappresentava una alternativa alla stabilità del potere. Occorreva invece insegnare fin da subito chi comanda e cosa bisogna fare per imparare a comandare. Questo sarebbe stata la scuola: fecero un’assemblea (anche questa idea della democrazia l’avevano avuta i Sissipole: un’altra incredibile perdita di tempo) e “democraticamente” la maggioranza ebbe ragione della sparuta minoranza dei Sissipole.

Dunque scacciarono dalla scuola, uno alla volta, il rispetto delle preferenze dei bambini, il divertimento, la cortesia, il gioco: fu in questo modo che la scuola diventò un’incubatrice capace di immettere nel mondo del potere solo Unsipole.

Gli Unsipole avevano e hanno una grande esperienza alle loro spalle: quindi sapevano come fare. Bastava trasformare la scuola in un luogo di potere degli adulti, appunto. Una fabbrica di regole, con orari da rispettare, compiti da fare, divieto di sbagliare e un sacco di altre difficoltà, tipo interrogazioni a sorpresa.

La scuola smetteva di essere una passeggiata panoramica verso l’età adulta per trasformarsi in una trincea nella lotta tra adulti e giovani. Dunque iniziarono i compiti per casa, poi quelli per le vacanze, le interrogazioni, l’alto e il basso, il più e il meno. Le note da far leggere ai genitori, la paura di sbagliare. Le insonnie, i litigi per costringerli a studiare. La preoccupazione delle bocciature.

scuola voti

Fatto, si dissero gli Unsipole e tornarono a disinteressarsi della scuola.

Alcuni piccoli Sissipole si adattarono, altri chiesero ai genitori di poter tornare a casa, di fare una scuola tra amici. Magari di essere affidati ai nonni, che avevano più tempo e sembravano più disponibili e meno irritabili. E anzi mostravano un gran piacere a stare con loro.

I Sissipole si dissero disposti a farlo, ovviamente, ma in questo modo avevano paura di proteggere troppo i propri figli; di non esporli abbastanza alle frustrazioni che gli Unsipole ritenevano indispensabili a imparare ad affrontare le difficoltà della vita. Un Sissipole adulto, poi, per quanto disponibile, si trascina sempre dietro la paura di sbagliare, e di essere giudicato un genitore che con la sua cedevolezza fa danno ai suoi figli.

Certo andavano a parlare con gli insegnanti, chiedendo di lasciare più tempo ai loro figli. Ma quelli rispondevano inflessibili che tutto quello che facevano lo facevano per il bene dei ragazzi; e la discussione finiva lì, anche perché coloro che insistevano diventavano antipatici rompiscatole con le conseguenze sui propri figli che forse non riuscite neanche a immaginarvi.

Così le cose prendevano una brutta piega, perché anche quei genitori che cercavano di fare i Sissipole, senza farsi scoprire, a furia di litigare con i figli, diventavano sempre più Unsipole.

E non si può qui, e non si può là, i bambini si sentivano tra l’uscio e il muro: da una parte la scuola, dall’altra i genitori che cercavano di non mettersi in contrasto con la scuola.

E così lo spazio affettivo, pieno di “sì”, certo, per favore, grazie, se puoi, anche tra un po’, come stai? Di cosa vuoi parlarmi?” stava trasformandosi in un vivaio di scortesie e di conflitti, di relazioni “utilmente asimmetriche”.

Non che gli Unsipole ci stessero bene: ma loro erano certi che il motivo della loro fatica e malessere era solo la maleducazione dei ragazzi e che con un altro piccolo conflitto per piegarli a comportamenti più obbedienti tutto sarebbe tornato a essere idilliaco.

La scuola però, contro ogni aspettativa, continuava a rappresentare per gli Unsipole un pericolo che avrebbero fatto meglio a non sottovalutare. Perché sempre più spesso capitava di trovare insegnanti Sissipole, e addirittura dirigenti Sissipole, che avevano a cuore il benessere dei loro ragazzi e che sapevano abbinare, facendo meno fatica, gli ottimi risultati con il piacere di stare insieme.

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Questo poteva essere spiegato solo in un modo: alcuni Unsipole si stufavano di lottare quotidianamente rovinandosi la vita, e si accorgevano, quando provavano a cambiare atteggiamento, di avere accanto insospettabili Sissipole, pronti a fare gruppo. Alla fine la scuola stava scappando dalle mani del potere: perché il rischio più grande per un Unsipole sono i bambini, e a scuola sono veramente tanti.

Frequentarli tutti i giorni, vedere la loro gioia e il loro entusiasmo, la fiducia che sono disponibili a dare, la loro disponibilità a collaborare se solo si sentono trattati bene, apre una breccia nella memoria degli Unsipole più sensibili, li porta a riflettere e a voler smettere di combattere la quotidiana battaglia delle regole.

Così sempre più Unsipole si arrendono all’evidenza che l’affetto è meglio della guerra e tornano a sorridere e, non ci crederete, vanno a scuola di buon umore. Come i loro preziosissimi compagni di avventura con i quali esplorano lo sconfinato campo dell’affetto e della conoscenza.